Sconsigli d’autore

Non poteva nascere un ordinario manuale di scrittura creativa da un autore irregolare e sanguigno come Andrea Carraro. Con la sincerità di un amico senza falsi pudori, refrattario a contegnose maniere professorali, lo scrittore de Il branco ci immette nella sua inquieta officina e ne distilla un’ampia rosa di consigli, o sconsigli, come preferisce chiamarli, scanditi ognuno da un titolo. La figura del narratore esperto che suggerisce le scelte migliori per preparare, comporre e accompagnare l’opera verso la pubblicazione si alterna a quella dell’uomo che lascia una franca e generosa testimonianza di sé. Metodi di lavoro, tecniche e opzioni stilistiche vanno di pari passo con l’analisi delle ragioni interiori e delle finalità dello scrivere, aspetti più delicati e altrettanto essenziali della creazione. Molti classici della letteratura si affacciano come esempi e interlocutori ideali in questo vademecum d’artista dove non mancano escursioni in linguaggi diversi, primo fra tutti il cinema. Un libro costruito a tasselli di mosaico dal quale si può agevolmente entrare e uscire, pedagogico e anarchico, autorevole e libero come le parole dei veri maestri. Ne emerge il disegno di uno scrittore cui un monito preme forse al di sopra di ogni altro: non perdere mai, a qualsiasi costo, quel filo che lega pagine e vita.

Descrizione

Manualetto di sopravvivenza per scrittori disorientati

Recensioni

  1. Davide Pugnana

    Non saremo mai grati abbastanza agli scrittori che ci permettono di guardare dentro il loro laboratorio creativo e la loro biblioteca mentale. Penso ai molti esempi generosi che punteggiano la tradizione europea e italiana. Quante volte, con stupore, ci siamo ritrovati dentro libri che erano, di volta in volta, un po’ storia di una vocazione, un po’ diari intellettuali, un po’ resoconti dell’officina dello scrittore, un po’ distillati di una privata pratica della lettura; un po’ cassetta degli attrezzi con istruzioni per l’uso e un po’ consuntivi teorici dopo la prassi empirica della fatica della scrittura. Da sempre ammiro gli scrittori che, ad un certo punto della loro parabola, danno conto degli anni di lettura dei maestri e di una personale meditazione sulla forma (forma romanzo o forma racconto o poesia) e, con uno sguardo a volo d’uccello, arrivano a dirci che cos’è e come funziona la letteratura. Tra Ottocento e Novecento, seguendo questa direzione ci vengono incontro testi fondamentali che hanno il potere, ipnotico e fascinoso, di portarci dietro le quinte del percorso creativo. Faccio solo qualche esempio di libri che sono come mani che aprono la pancia del meccanismo e ci mostrano il movimento delle sfere e degli ingranaggi: lo “Zibaldone” di Leopardi, il “Diario di uno scrittore” di Dostoevskij e di Virginia Woolf; le “Lettere a un giovane poeta” di Rilke: “Il mestiere di vivere” di Pavese; i “Diari”di Kafka; le lezioni di letteratura di Nabokov e quelle sulla scrittura di Giuseppe Pontiggia. E non posso dimenticare quella che è una prima opera di vera e propria teoria della letteratura, ossia l’epistolario di Flaubert.
    Questo tipo di approccio anticrociano – ossia di scrittori che ci mostrano i trucioli e il lavoro della propria officina, che riflettono sul dispositivo che stanno usando, che teorizzano dopo aver molto praticato – va in una direzione che potremo definire di riflessione epistemologica tutta interna al fare creativo, in un vasto e felice alveo che si raccoglie nella categoria della saggistica degli scrittori: una saggistica che ha un suo statuto specifico di registri stilistici e di visione della materia. Il risultato sono libri costruiti su una geologia mentale complessa e disseminati di ramificate filigrane: sono diari di bordo delle letture sedimentate lungo gli anni di interrogazione dei testi; sono quaderni intellettuali intarsiati di pezzi lunghi e brevi, al modo degli “essais” di Montaigne; sono trattati di un’estetica cavata dalla prassi (come dire: ho scritto tanto, ho smontato e usato questo complesso dispositivo, ora ti dico la mia esperienza da teorico della letteratura); sono ricettari pieni di consigli e sconsigli pratici su come scrivere e non scrivere; sono affondi nelle dinamiche del processo creativo e sono piccole enciclopedie portatili di “betise” sempre pronte a contaminare il percorso di ricerca stilistica e linguistica dell’autore. Il fine di questi testi, quando sortiscono efficaci, è rispondere ad una domanda fondamentale: che cos’è la letteratura? E dai qui, per conseguenza: come funziona la forma espressiva che ho scelto e praticato? Come posso adattarla alla mia visione individuale? In questo senso, essi sono testi di epistemologia se per “epistemologia” intendiamo una ricognizione, da di dentro, degli strumenti della propria disciplina; sul modo più efficace per rendere ogni pezzo della macchina una precisa, lucida forma di conoscenza del mondo e della natura umana. Ecco perché libri di questa natura funzionano solo dopo un accurato smontaggio e rimontaggio del dispositivo. Difficilmente lo scrittore fa precedere la teoria alla pratica, ma spesso è vero il contrario: si cerca di capire la funzione della forma scelta per esprimersi direttamente usandola; è scrivendo che si trovano le proprie leggi artistiche e solo a posteriori, in un secondo tempo fatto di distanza storica e di esperienza diretta, si scrive un testo di meditazione estetica.
    Un’altra questione, non secondaria, riguarda il modo in cui questi testi, scritti da chi tratta la materia, riflettono sulla natura della creazione artistica, sviscerando dall’interno le dinamiche empiricamente trovate e conquistate: i modi, le strategie, le tecniche, la lavorazione della materia, l’accordatura del ritmo, la ricerca di un tono irripetibile. Essi arrivano a chiarirci l’origine dell’ispirazione che, lungi dall’essere un tardo-romantico vento divino o un getto magmatico che possiede l’artista a partire dalla pancia, poggia su concetti e pratiche come l’artigianato, la limatura, le correzioni, il coraggio di cassare ciò che non va. In breve: la religione del lavoro, quella faticosa, personalissima liturgia della ricerca di una pagina che funzioni a livello espressivo che si ottiene unicamente in forza di approssimazioni graduali. Una fase durante la quale i demoni tentatori del velleitarismo e del narcisismo stilistico vengono esorcizzati e disinnescati. Superati i gangli della comoda mitologia personale, viene dato spazio alla cruciale fase di apprendistato della scrittura: come affilare gli strumenti conoscendoli uno ad uno; che forma scegliere di attraversare; che maestri far entrare nel proprio zodiaco di miti eterni; di cosa parlare e come parlarne; come imbastire la documentazione; cosa evitare di usurato sul piano metaforico e retorico; chi evitare di interpellare in fase di lavorazione e chi, viceversa, ascoltare, dall’editor al lettore.
    E quindi “Sconsigli d’autore” (Galaad Edizioni) di Andrea Carraro dove lo collochiamo nel ricco quadrante della saggistica degli scrittori? Che cos’è questo libro? Da quale tradizione proviene? Sta con Leopardi, con Flaubert, con Pavese o con Nabokov? In quale aria di famiglia si tuffa? Qui volevo arrivare. Tutto quello che ho scritto fino ad ora parla proprio di questo “manualetto di sopravvivenza”, pensato come una bussola, anzi come un punto nave da tenere sempre davanti per chi voglia sapere qualcosa di più sui meccanismi della creazione; per chi non ha punti cardinali per cominciare la sua ricerca; per chi non ha mai usato o ha usato male il dispositivo “letteratura”; per chi crede o ha creduto di padroneggiare la propria materia, e, invece, l’ha tenuta sepolta in un sottosuolo che chiede di trovare la giusta calibratura tra contenuto e forma. Un libro che, come la “Vita” di Alfieri, ci mette implacabilmente davanti allo specchio e ci chiede, fuori dai denti: che cosa vuoi diventare scrivendo?

  2. Massimo Onofri – Avvenire

    Per capire che libro sia Sconsigli d’autore (Galaad edizioni, pagine 224, euro 15,00) di Andrea Carraro converrà partire da qui: “Devo confessare, però, che l’espressione scrittura creativa proprio non mi piace, mi fa pensare ai creativi delle pubblicità, e fatalmente alle pubblicità sentenziose delle automobili; non è meglio dire scrittura espressiva o di invenzione, come suggeriva Giuseppe Pontiggia, il primo ad averla importata in Italia, la scrittura creativa, a metà degli anni Ottanta, in lezioni pubbliche che si tenevano al Teano Verdi di Milano?”. La prima ragione è perché, se stiamo al personaggi evocati (in un senso propriamente narrativo), possiamo riconoscere in Pontiggia l’eroe di queste pagine. La seconda sta nel fatto che vi si respinge l’aggettivo creativa a vantaggio di termini come “espressiva” o “di invenzione” che, già implicitamente, sembrano suggerire con lucidità storico-critica che le scuole di scrittura poco funzionerebbero per la formazione di un aspirante scrittore, se non fossero anche scuole di lettura, in cui ragionare sulla letteratura e i generi letterari, sulle tecniche di interpretazione dei testi, in cui esercitare insomma anche la critica.
    Proprio l’ultimo capitolo del libro, uno dei più belli, s’intitola “Brevità e lronia: Giuseppe Pontiggia”, là dove, per altro, Carraro conferma anche le sue già acclarate qualità di narratore. Un capitolo che comincia con un aneddoto autobiografico: siamo al Salone del Libro di Torino dove due importantissimi scrittori-critici, Pontiggia e Pietro Citati, tengono una conferenza in una sala affollatissima, ma Carraro pensa solo ad “affibbiare” il suo nuovo libro “almeno a uno dei due risultando il meno goffo e fantozziano possibile”. Quando decide, a fine conferenza, di fare dono all’autore di La morte in banca e Nati due volte, la risposta che riceve, nuda nella sua verità e completamente priva di intenzioni seduttive, rivela la grande onestà dell’uomo: “Sarei contento di leggerla, ma sono carico di libri, come vede”. Sarà così che, allora, Carraro deciderà di leggere tutti i libri di Pontiggia: per cavarne anche, come per La morte in banca, qualche geroglifico sulla propria vita e il proprio destino. Ma torniamo alla conferenza. A un certo punto Pontiggia affronta un tema su cui anche Carraro ha molto riflettuto, la questione dell’onomastica, nella convinzione che gli “scrittori mediocri si riconoscono dai nomi che danno ai loro personaggi”. E fa l’esempio “dell’amato Italo Svevo”, definito “di una brevità efficace” o del K. de Il Castello di Franz Kafka, “genialmente contratto”. Per concludere così: “I1 personaggio comico è sempre tipico, mentre quello tragico è sempre individuale, unico, irripetibile”. Una grande e indimenticabile lezione. Carraro, come accade in lutti i suoi romanzi, racconta sempre solo ciò che sa: e qui, infatti, dimostra di conoscere bene tutte le problematiche con cui ha a che fare chi pratica il mestiere di scrittore. Sconsigli d’autore tocca infatti tutte le questioni teoricamente e praticamente decisive nella quotidianità di uno scrittore. I titoli di tanti capitoli, che vanno a costituire le tre parti del libro (“Prima”, “Durante”, “Attorno”), sono eloquenti: “Incipit”, “Protagonista”, “Idee chiare”, ” Motivazioni”, “Genere narrativo”, “Gestazione”, “Strumenti preliminari”, “Mostrare o raccontare?”, “Romanzo autoriale”, “Sopralluoghi”, “Stati d’animo”, “Scrivere contro”, “Ossessioni”, “Le cinque W” (quelle che dovrebbero soddisfare un articolo di cronaca secondo il giornalismo anglosassone), “Punti di vista”, “Raccontare sé stessi”, “L’antilingua”, “Raccontare la realtà”, “La rappresentazione”, “Figure retoriche”, “Flashback e digressione”, “Dialoghi”, “Nomi”, “Finali”, “La mise en abyme”. E si potrebbe continuare. Ma – ecco Il punto – non manca di interrogarsi anche su questioni che sembrano apparentemente estrinseche, come quando si domanda in “Professionismo”: “Come si fa a dire di essere uno scrittore di professione?”, o come quando si pronuncia “Contro il metodo Moravia”: “Un avviso contro quello che chiamerei il metodo Moravia: mettersi comunque tutti i giorni al tavolo di lavoro per un certo numero di ore. Se ti siedi al computer e non ti viene niente, non fare come Moravla, lascia perdere”. Cos’è, allora, Sconsigli d’autore: certamente un gustoso “manualetto di sopravvivenza per scrittori disorientati”. Ma, spprattutto, il ritratto felicissimo d’uno scrittore solo: Andrea Carraro.

  3. F. La Porta – Left

    Premessa: le scuole di scrittura creativa (e i manuali della stessa materia) sono perlopiù inutili. O meglio: sono utilissime per produrre migliori lettori. Ma non si può dirlo: nessuno verosimilmente aspira a diventare da grande un “buon lettore”. L’unico manuale utile resta un libro di Giuseppe Pontiggia. Ma ora ne voglio segnalare un altro, “Sconsigli di lettura. Manualetto di sopravvivenza per scrittori disorientati” (Galaad Edizioni) di Andrea Carraro. Contiene anche suggerimenti pratici ma è anzitutto il libro – onesto, schietto – di uno scrittore vero, è un esempio felice di saggio personale, autobiografico e digressivo, in cui l’autore parla della vita e del tempo, della solitudine e degli amici, di amore e di odio, e di come è nata la sua passione letteraria (e molto di cinema, forse la sua passione segreta). Lo dice anche lui che se non hai talento dovresti lasciar perdere (non basta la tecnica), anche se il talento letterario – imponderabile, non distribuito in modo egualitario (Dio è di destra!) – non ci aiuta certo la scuola a trovarlo. Ma non c’è niente di meglio per un aspirante scrittore che poter accedere all’officina di uno scrittore, come qui accade: si pensi al ruolo delle botteghe nel Rinascimento. Comunque, senza essere prescrittivo, il libro segnala anche alcune cose concrete da non fare: ad es. non seguire il metodo Moravia, se ti siedi al computer e non ti viene in mente nulla, non ostinarti, esci di casa. Oppure: se devi scrivere una lettera di presentazione editoriale non andare oltre le 20 righe. Soprattutto: evitate di trasformare la scrittura in “palestra dell’io”. Ad ogni pagina Carraro ci ricorda che la letteratura è “scandalosa per definizione”, intrattabile, sovversiva. Scrivere un romanzo non è come fare una passeggiata, né potrà mai diventare un rito consumistico. Significa mettersi in gioco, confrontarsi con i propri demoni per provare ad addomesticarli. Dosate perfino l’autoironia, che può diventare stucchevole: “non si esce mai indenni dall’auto rappresentazione”.

  4. R. Montanari

    Carissimo Andrea, per ringraziarti di avermi fatto avere i tuoi Sconsigli ho aspettato di leggerli, cosa che ho fatto finalmente in questi questi giorni. Il libro mi è piaciuto moltissimo (certo, cazzo, che i tuoi libri mi piacciono sempre) perché affronta l’argomento con un piglio rilassato, deliberatamente disordinato e per questo molto vivo, organico e non meccanico. Ci sono un sacco di perle, osservazioni in cui si sente la profondità dolorosa dell’esperienza personale, ma anche l’illuminazione, la felicità della scrittura che non ha vergogna di dichiararsi anche rifugio, cura dal mondo nel momento in cui si propone come specchio del mondo. Davvero molto, molto bello, riuscitissimo.
    Naturalmente ho cercato qualche traccia dei miei famosi appunti e mi ha fatto un gran piacere trovarle nei problemi dell’ipotassi, nella cassetta degli attrezzi dello scrittore, soprattutto nell’abominio della prosa “burocratica” (d’altronde quella è la parola giusta per dirlo).
    Lo metto sicuramente nella bibliografia dei miei corsi.
    Grazie ancora, un abbraccio stretto dal tuo coscritto, come diciamo qui in Lombardia.

  5. Nicola Vacca – gliamantideilibri.it

    Andrea Carraro è tra i migliori scrittori della sua generazione, autore di romanzi singolari come Il branco, L’erba cattiva e Il sorcio.

    Intellettuale antiretorico dotato di una splendida ironia, Carraro si muove nel mondo letterario italico pensando sempre con la propria testa e soprattutto si tiene sempre lontano dal chiacchiericcio modaiolo e salottiero del conformismo culturale.

    Per la casa editrice Galaad lo scrittore romano pubblica Sconsigli d’autore. Manualetto di sopravvivenza per scrittori disorientati.

    Si tratta di un libro onesto e personale in cui Carraro, con ironia e leggerezza, parla di scrittura, di narrativa, di romanzo, di lettura mettendo in guardia gli aspiranti scrittori dalle numerose trappole di banalizzazione e soprattutto dalle false sirene del politicamente corretto.

    «Che cos’è questo libriccino che avete per le mani? È un saggio autobiografico? Un’autobiografia letteraria? Un pamphlet satirico contro le mode culturali? Un po’ tutte queste cose insieme, ma forse è prima di tutto, come suggerisce il sottotitolo, un manualetto di scrittura creativa che rivela, fin dalle prime pagine, la sua natura editorialmente ibrida, come mi ha fatto notare qualcuno».

    Sì, in effetti ha ragione il suo autore, questo volume è po’ tutte queste cose, un libro che aiuta a prendere confidenza con il proprio talento di scrittore.

    Sconsigli d’autore è un controcanto letterario sulla scrittura, sulla lettura e sull’intero mondo libresco.

    Un libro decisamente controtendenza che dischiude scenari anticonformisti sull’arte del romanzo ma che soprattutto ci spiega a cosa non serve la letteratura e che cosa è la letteratura, quella con la elle maiuscola: «quella che riesce a trasformare l’orrore e la tragedia in poesia».

    Il punto di vista, la caratterizzazione dei personaggi, il rapporto tra finzione e realtà. Carraro parte dai temi classici dei corsi di scrittura creativa e nel suo libro, con la sua consueta verve ironica, dispensa i suoi (s)consigli su come nasce un romanzo ma soprattutto quali sono le tappe che un aspirante autore deve seguire e attraversare per scriverlo e pubblicarlo.

    Partendo dal presupposti che «la letteratura è scandalosa per definizione» e che il romanzo è lo specchio della realtà, è importante per lo scrittore non rinunciare all’autenticità (sulla quale decidono il gusto dei critici ma anche dei lettori. Prima di tutto l’autenticità dovrebbe essere una vocazione per chi scrive, perché l’inautenticità è il difetto fondamentale che si possa trovare in un romanzo e in uno scrittore) e soprattutto quando scrive non dimenticare di stringere un patto con il lettore.

    «Cosa significa stringere un patto con il lettore? Banalmente significa pensare al lettore quando scriviamo una storia, impegnandoci a essere attenti, concentrati, coerenti nelle scelte narrative o drammaturgiche, Perché il lettore è il primo destinatario del nostro libro, e non possiamo dimenticarci di lui, a meno che non stiamo pensando di scrivere per i posteri – può verificarsi anche questo – anche se nella normalità dei casi noi scrittori scriviamo per un lettore in carne e ossa che ci acquista in libreria, sganciando denaro di tasca propria e che ha scelto il proprio libro fra tanti, accordandoci la sua fiducia».

    Andrea Carraro nei suoi Sconsigli d’autore fornisce davvero suggerimenti utili agli scrittori disorientati. Nel libro troviamo anche pagine interessanti dedicate all’importanza della lettura e quanto sia importante essa per uno scrittore che deve leggere assolutamente i classici senza ignorare i maestri e anche le diverse forme narrative e contemporanee del mondo romanzesco.

    «Avete mai scritto contro qualcuno? La modalità dello scrivere contro (contro una persona, una comunità, una chiesa, un’idea, una civiltà, o qualunque altra cosa) può diventare una chiave di interpretazione della realtà e un modello di stile. Come è successo a me, Io ho scritto in primis contro mio padre. Contro il maschilismo che mi covava dentro. Poi contro la banca dove lavoravo, e dunque contro la piccola borghesia impiegatizia di cui facevo parte. Si può scrivere anche contro sé stessi, se si ha il fegato di farlo. Concentratevi sulle cose o le persone da prendere a bersaglio e provate a scrivere contro di loro. Esercitatevi in quella direzione, nella direzione della rivolta, della resa dei conti».

    Tra tutti i preziosi sconsigli che Andrea Carraro ci regala in questo prezioso libro, questo è quello che più mi sta a cuore.

    Sconsigli d’autore è un libro corsaro e irriverente da leggere e tenere sempre sul comodino perché Andrea Carraro con chiarezza, autenticità e soprattutto con onestà intellettuale, senza aver paura di essere un uomo e uno scrittore in rivolta, ha scelto scrivere e pensare contro.

    Le note critiche, dispettose e ironiche del suo manualetto – zibaldone portano aria fresca e pulita nel mondo narcisista degli scrittori che si mettono spesso in vetrina («L’importante è non montarsi la testa, restare coi piedi per terra, conservare l’umiltà, perché siamo tutti apprendisti nella scrittura. Lo diceva anche Ernest Hemingway, fra gli altri».), ignorando la propria voce interiore perché convinti senza umiltà di bastare a sé stessi.

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