Ho appena finito di leggere Come fratelli di Andrea Carraro (Barbera, Roma, 2013). Ci ho messo qualche giorno per mancanza di tempo, ma è un libro che si divora. La lettura procede rapida e soprattutto è piacevole, quel plaisir du texte di cui tanto si parla con questo libro è stato ben sperimentato. ‘Come fratelli’ è un titolo ovviamente azzeccato e sintetizza tutto il romanzo. Una similitudine che apre l’opera e la conclude, tutto viaggia sulla dimensione dello specchio, sull’ipertrofia dell’io, il suo ingigantirsi e poi il suo declinarsi in un nichilismo senza via d’uscita almeno per quanto riguarda Dario che è, se vogliamo, la parte Thanatos del romanzo; Eros invece è la scrittura di Andrea incaricato spirituale di un testamento in divenire. Ho letto parecchie recensioni sull’opera come l’introduzione in cui si mette in risalto soprattutto la tipologia del ‘branco’ e dell’animale uomo incanalato nell’omologazione comportamentale adolescenziale. È vero, è presente ed evidente, ma di solito io cerco sempre qualcosa che va al di là di ciò che appare, anche sbagliando, ma è la mia natura che mi porta sempre a fare certi tipi di analisi (e ripeto, anche erronee, ma semplicemente soggettive, basate sul mio modo di percepire ciò che leggo). Bene, c’è il branco, ci sono gli scherzi stupidi e il cinismo tipico degli aggregati, poi ci sono i due amici e quel ‘due’ resta indelebile per tutto il romanzo, è il nocciolo. Due, come scrivevo anche l’altra volta in un commento, che per me è uno. Andrea e Dario (‘non erano poi cosi’ diversi’) sono due facce della stessa medaglia, o Eros e Thanatos (riferendomi anche ad un certo tipo di attrazione psicologica ed erotica tra i due e mi viene da pensare a Montaigne e Etienne de la Boetie), oppure concretezza e astrazione. Uno vive con i piedi per terra (Andrea), si sposa e lavora, l’altro vaga nel mondo delle ideologie religiose (qui l’aspetto sociologico contemporaneo del romanzo) perdendosi dietro a concetti divini nichilistici, non a caso il tema del suicidio è un refrain sempre presente nella seconda parte e alla fine Dario si uccide (conclusione fatalmente inevitabile). Un’altra cosa che ho percepito è che in fondo Xiva non è l’altro mondo, ma è questo mondo in cui viviamo: non si provano emozioni, non c’è piacere o dolore, non si muore (perché non si vede la morte, la guardiamo, ma non la vediamo nonostante sia sempre così eccessivamente presente e spettacolarizzata nelle nostre case attraverso i media). La Xiva di Dario è la nostra vita. Complimenti di nuovo Andrea, la nostra Xiva senza emozioni è stata ben consegnata al lettore e solo alla fine, nell’impatto con la morte vera, esce fuori l’anima.

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