LA PRESENTAZIONE del Branco al Festival di Venezia si preannuncia carica di polemiche. Alcune, strumentali e perfino grottesche, già si sono affacciate alla ribalta della cronaca; come quella di alcuni pregiudicati che avrebbero sporto denuncia contro la produzione chiedendo il sequestro della pellicola. Il motivo? Senza aver ancora visto il fil di Marco Risi, pretenderebbero di essersi riconosciuti nei personaggi rappresentati. Fra parentesi, questi signori hanno tutt’oggi la faccia tosta di definire l’atroce vicenda di stupro collettivo per la quale sono stati processati e condannati una decina d’anni fa una maledetta bravata.
Altre polemiche sono nell’aria, quest’ultime assai più serie e legittime. Le cogli, ancora latenti e disarticolate in alcuni titoli di giornale, nel tono di certe domande che ti pongono i giornalisti, soprattutto di sesso femminile. Un tono appassionato, che in qualche caso diventa tuttavia vagamente sospettoso e inquisitorio. Non ci sarà una eccessiva pietas nei confronti del protagonista o un atteggiamento compiaciuto e voyeuristico o addirittura una strisciante assoluzione dei carnefici? Ora, relativamente al libro, ciascuno può verificare sul campo la fondatezza di tali preoccupazioni. Quanto al film, in attesa di vederlo e giudicarlo e indipendentemente dai risultati ottenuti, vorrei far luce almeno sulle intenzioni che hanno spinto Marco Risi e me a realizzarlo e ancor più sullo spirito che ci ha animati.
So bene che questo argomento, se affrontato da un uomo, per giunta un uomo che ha deliberatamente scelto il punto di vista dello stupratore, crea disagio nelle donne, un disagio palpabile e, ripeto, quantomai legittimo giacché tocca un nervo scoperto della loro sensibilità, scava all’interno di una ferita tutt’altro che rimarginata. Di tutto questo mi rendo conto e me e faccio anche moralmente carico, sebbene rivendichi il diritto-dovere di raccontare la violenza sessuale sulle donne tanto quanto le donne medesime. Nessuno deve credere di avere l’esclusiva intorno a questioni che gravano sulla coscienza civile di un popolo intero. Per combattere la cultura che sostiene e alimenta queste maledette bravate, è necessario l’impegno di tutti e, credo, soprattutto degli uomini che quella stessa cultura conoscono bene e nei confronti della quale troppo a lungo hanno mostrato una colpevole inerzia e indifferenza.
Mi è già capitato di dire che ho scritto il libro spinto dall’indignazione e, in quanto maschio, da una vergogna straziante. Sono certo che lo stesso sentimento abbia accompagnato Marco durante la lettura del romanzo e la lavorazione del film. Sia per me sia per lui è stato quanto mai doloroso cimentarci con questa materia: ogni pagina del romanzo, ogni scena scritta e girata del film, è stata come mettere in piazza, esposte al ludibrio collettivo, le responsabilità morali di tutto il nostro sesso. Vorrei che le donne si accingessero a vedere il film animate di questa consapevolezza.
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