Con i suoi romanzi Andrea Carraro ha costruito negli anni una originale poetica, basata su uno stile essenziale, nervoso, che va al cuore dei fatti, in cui è centrale lo sguardo morale sulla realtà. Cosi è anche nei quattro racconti di LA LUCERTOLA.
Da dove nascono le sue storie?
Dall’osservazione della realtà, che elaboro per restituirla deformata espressionisticamente.
Roma è un luogo importante della sua narrativa. Che cosa rappresenta per lei questa città?
Roma è la mia città, una città che amo e che odio. Mi interessano le periferie in quanto ‘non-luoghi’, ovvero luoghi privi di identità, di storia, tra città e campagna; perversamente legati alla modernità e alla civiltà contadina.
C’è chi, per l’attenzione al mondo delle borgata l’ha definita ‘post-pasoliniano’. Si riconosce nella definizione?
La definizione di ‘post-pasoliniano’ mi sembra sbagliata, imprecisa. La narrativa pasoliniana, iperideologica, è quanto di più lontano si possa immaginare dal mio realismo crudo, spogliato di ideologie. Pier Paolo Pasolini e’ per me un punto di riferimento come intellettuale, come scrittore corsaro, ma come narratore proprio no.
Quali scrittori sono stati importanti per lei?
La mia formazione di scrittore è stata soprattutto americana: farei i nomi di Hemingway e Carver. In Italia non c’è una solida tradizione narrativa, chi vuole scrivere racconti o romanzi deve cercare modelli di riferimento fuori dal nostro Paese
Che cosa sta scrivendo?
Sto ultimando la revisione di un romanzo il cui protagonista è un uomo alla deriva che campa con l’elemosina in una baracca dell’estrema periferia. Si tratta di un romanzo esistenziale, amaro e tragico, anche se, nel finale, una luce pare intravedersi.
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