IL BRANCO è un romanzo di un giovane autore romano, Andrea Carraro, e racconta, prendendo spunto da un fatto realmente accaduto, la storia di uno stupro collettivo, perpetrato da un intero paese della campagna tiburtina ai danni di due ragazze tedesche. Il manoscritto e’ stato per due anni rifiutato dagli editori, grandi e piccoli, sempre con motivazioni che tradivano un certo imbarazzo per il taglio e il linguaggio radicali con cui Carraro affronta l’argomento stupro. Alla fine, ripetendo un’eccezione compiuta soltanto trentacinque anni fa per “Le parrocchie di Regalpetra” di Leonardo Sciascia, la rivista letteraria Nuovi Argomenti l’ha pubblicato integralmente nel numero in libreria in questi giorni, accompagnandolo con una secca nota del suo direttore Enzo Siciliano che suona come un atto d’accusa verso il mondo editoriale. Ma non è tutto, perché Sandro Veronesi, che lavorava a Nuovi Argomenti all’epoca della decisione di pubblicare il romanzo, ha fatto avere una copia del manoscritto a Marco Risi, e il regista di ‘Meri per sempre’ ne è rimasto talmente impressionato che ha immediatamente deciso di farne un film, chiamando Carraro a collaborare alla sceneggiatura. Ora che la sceneggiatura è finita, a poco più di un mese dall’inizio delle riprese. Veronesi ha incontrato Risi e Carraro per parlare del romanzo, del film e del modo in cui essi aggrediscono il tema della violenza carnale, anticipando gli argomenti del dibattito che tra sei-sette mesi, all’uscita della pellicola nelle sale, sicuramente LA BARACCA solleverà.
Come e perché hai deciso di scrivere questo romanzo?
CARRARO: Innanzittutto ne avevo scritto un altro, prima di questo, nel quale molti temi erano simili. Per esempio il tema del branco, tanto per dirne uno, o quello della sessualità. II motivo, comunque, è stato fortuito. Mi sono imbattuto in questo bellissimo libro di Tina Lagostena Bassi, ‘L’avvocato delle donne’, che ricostruisce dodici episodi di stupro attraverso le deposizioni processuali delle vittime e degli accusati, e mi sono ispirato al primo di questi episodi, per vari motivi: innanzitutto perché è un crimine di branco, come dicevo, che diventa nel romanzo una metafora dei condizionamenti culturali e sociali che fanno pressione sugli stupratori. Poi mi ha colpito anche dal punto di vista dell’ambientazione, cosi com’era rappresentata proprio attraverso le deposizioni: questa baracca, appunto, questo luogo dove si concentra il male. La terza ragione è il linguaggio. Ho deciso di ispirarmi a quel caso anche perché conosco il romanesco e le sue modificazioni ‘burine’, per così dire, che pure ho studiato sul luogo con registratori, taccuini eccetera… Ma non è stata proprio la durezza del linguaggio la ragione principale del rifiuto che gli editori hanno opposto al tuo romanzo?
CARRARO: SI. Ma io non sono sceso a compromessi, su questo. Quel linguaggio è parte integrante di quei personaggi. Se è duro non so che farci, è così. E su questo anche Marco si è trovato d’accordo, visto che anche nel film il linguaggio sarà durissimo, senza mediazioni. E tu, Marco; perché hai deciso di fare un film da questo romanzo?
RISI: Io, devo dire la verità, quando ho letto il manoscritto la prima volta a un certo punto mi sono fermato e quasi non riuscivo a proseguire, perché mi provocava un disagio terribile. Ecco, forse è stato questo disagio il primo motivo per cui mi sono poi deciso a fame un film, di modo da cercare di capire quale logica porti a fare qualcosa di cosi’ terribile. Come si smuove tutto questo orrore? Perché? Sono stato attratto dall’attenzione che il romanzo riserva alla psicologia dei personaggi, e soprattutto del protagonista, Raniero, un ragazzo di diciannove anni. La cosa più interessante è sicuramente che per una volta non si vive questo crimine dalla parte della vittima, della donna, ma lo si vive dalla parte dei maschi carnefici. Il che equivale a trovare un elemento in più di drammaticità, che è la pietas anche per questi carnefici, e non soltanto per le vittime. So che questo provocherà delle reazioni, forse anche molto clamore, addirittura, ma è così. Ecco, appunto. Essendo voi uomini, e non donne, e avendo addirittura scelto, per raccontare una crudissima storia di stupro, iI punto di vista del carnefici uomini, non temete di trovare un atteggiamento poco disponibile da parte dei pubblico femminile?
RISI: No, punto di vista dei carnefici naturalmente non implica ne indulgenza ne giustificazione nei loro confronti, questo è lampante. Però capisco che gli scogli da superare saranno soprattutto quelli, e gli scontri, se ci saranno, saranno li’. Perché questo e’ un argomento, sul quale l’uomo è poco accreditato a parlare. Sociologicamente parlando l’uomo è il colpevole, punto e basta. Ma torno a dire che a noi interessa capire perché accade una cosa del genere, e questo comporta per forza lo spostarsi dalla parte del carnefice. C’è poco da fare. Allora vi riproporrò ciò che obietta per esempio Rosita Copioli su “Avvenire”, esprimendosi proprio su questo romanzo -secondo me però senza averlo letto: che ‘la pietà per il bruto demente che sa esibirsi solo in massa e’ un sentimento inquietante, di pessimo gusto, come la simpatia per i cretini che distruggono i treni o violentano-uccidono perché si sentono forti e vicendevolmente plagiatori nel gruppo’.
Voi come avete intenzione di difendervi da questa accusa, che passando dal romanzo al film rischia di passare dall’Avvenire’ (con tutto il rispetto) a ‘La Repubblica’?
CARRARO: Secondo me l’atteggiamento oltranzista delle femministe non giova. La nostra storia svolge un ottimo lavoro, secondo me, per abbattere la cultura maschilista, perché la fa vedere dalla parte di chi la brandisce, la illustra nella sua logica. Perche’ una logica c’e’, e le vittime che la subiscono non ce l’avrebbero potuta mostrare, non l’avrebbero potuta rappresentare. Tutta la letteratura del male del resto non esisterebbe nemmeno, se si dovesse rappresentare solo il punto di vista della vittima e mai quello del colpevole.
RISI: Io credo che il lavoro di Andrea sia stato molto attento, molto acuto psicologicamente, e anche corretto, leale, nell’entrare dentro la mentalità di questo protagonista. Perché quello che Raniero sente, quello che lui prova nella sua testa, io penso che possa passare anche per la testa di – arrivo a dire una cosa terribile, forse – molti di noi. Cioè io penso che sotto tutto questo, comunque, violentemente quanto vuoi, ci sia un desiderio d’amore terribile, e che non sia giusto nasconderlo solo perché il delitto e’ cosi’ grave. Nella direzione più sbagliata e più orrenda, ma c’e’ anche quello.
Dunque, la cultura maschilista. Perché l’assunto da cui parte il crimine, nel romanzo, e che regge fino in fondo agli occhi degli stupratori, compreso iI protagonista, e’ che due ragazze che fanno l’autostop – straniere, per di più – vogliono quello. Cioè voi dite che per scatenare quella violenza, a venti chilometri da Roma, in piena civiltà occidentale, evoluta, alfabetizzata, televisionata, e tra soggetti che non sono dei criminali incalliti, ne dei maniaci, basta che due straniere facciano l’autostop. Nemmeno più gli atteggiamenti provocanti o le minigonne, ma l’autostop. Questo è realmente terribile, e le donne secondo me dovrebbero ringraziarvi, perché non se ne ha coscienza, io perlomeno non ne avevo, di quanto poco basti, nella testa di un maschio, a giustificare uno stupro.
CARRARO: Io ci ho tenuto molto, tanto nel libro quanto nella sceneggiatura, a far ripetere a Raniero varie volte che, appunto, ‘queste due facevano l’autostop’. E bada che Raniero è un personaggio che se non fosse incappato in quella storia avrebbe fatto il carabiniere: perché è questo che lui desidera all’inizio della storia, fare il carabiniere. Eppure anche per lui, nel momento cruciale, la giustificazione dell’autostop regge. Non credo sia una forzatura, perché lo abbiamo visto anche nei colloqui che abbiamo fatto per i provini. Quasi tutti i maschi hanno ripetuto la stessa cosa, e cioè: ‘si, lo stupro è un reato, però…’. C’è sempre questo ‘però’, che significa ‘però la donna non deve…’ e via con una serie di eccezioni nelle quali lo stupro non viene più considerato un crimine.
E perché, secondo te?
CARRARO: Io penso che questa concezione maschilista sia una tara specifica del nostro paese. Credo che si tratti di una cultura che in Italia ha delle radici antiche e profonde, e che sia difficilissimo sradicarla.
RISI: E comunque la gente è molto più disposta a stare dalla parte del più forte, come regola. Si ritrova con molti problemi in meno a credere che le ragazze violentate lo stupro se lo siano cercato. E’ disposta a credere lo stupro, ecco, come una conseguenza, o addirittura una punizione, e se è grave allora vuol dire che è stato grave anche il loro comportamento. Ed è pur vero che noi qui, col sesso, abbiamo un problema di Chiesa sulla testa, che ci spinge a pensare e a ragionare in termini di colpa. Anche nel modo di ragionare suggerito dalla Chiesa, in fondo, naturalmente con l’ovvia condanna della violenza e tutto, sembra pero’ che sopravviva una cultura del ‘concorso di colpa’, chiamiamolo così, per cui anche da parte della vittima di uno stupro ci dev’essere una qualche responsabilità.
CARRARO: E c’è un punto, nel romanzo e nel film, in cui uno dei personaggi solleva proprio questo problema. Quando le cose stanno realmente degenerando, Ottorino, il capo, guarda davanti a se’ e comincia a preoccuparsi, e dice: ‘nella peggiore delle ipotesi, grattamose i cojoni, diciamo che battevano per strada’. Quindi lui si pone proprio quel problema, e evidentemente il dire che battevano per strada glielo risolve, taglia la testa al toro, perché in quel caso la violenza e’ giustificata. E’ un altro ragionamento che fa sempre parte della stessa cultura, quella che poi consente agli avvocati difensori, nei processi per stupro, di attingere a una serie infinita di attenuanti.
Nel romanzo, comunque c’è un punto di non ritorno per iI protagonista, un momento che al lettore appare quasi insopportabile, ed è quando Raniero, che fin la’ non ha partecipato materialmente allo stupro, che ha tentato goffamente di aiutare una delle due vittime e nel quale uno ancora riesce a identificarsi, lancia l’Idea terrificante di mettere in vendita le due ragazze, cioè di farle violentare da tutti i maschi del paese che ne abbbiano voglia, dietro pagamento di un biglietto. Lo fa per recuperare potere in un branco che lo sta emarginando ed è là che, secondo me, la storia abbandona il piano della denuncia sociale acquistando iI proprio spessore dostoieschiano, metafisico. Là si decide la vera, irreversibile discesa agli inferi di questo coattello di campagna che voleva fare II carabiniere. Da là alla fine avrà a che fare con iI male allo stato puro, palpitante, inconoscibile, e entrerà in un vortice che mi porta a farvi quest’ultima domanda: c’è fine al male? Esiste un fondo più in basso del quale non si può scendere?
RISI: No. nella sceneggiatura abbiamo messo una bella battuta proprio su questo, alla fine. Perché dopo che una delle ragazze e’ morta l’altra riesce a scappare – è notte – il capo dice a Raniero di andare a cercarla lungo la ferrovia. Raniero lo guarda, un attimo di sospensione – non c’è risposta, però – e gli chiede: ‘E si la trovo?’.
Appunto. E se la trova?
RISI: Ma non la trova. Anzi, viene trovato lui.
Si, ma se la trovasse?
RISI: Eh, io mica lo so che farebbe Raniero se la trovasse. Intimamente spero in un Raniero che se la trova la prende e la scarica da qualche parte, più lontano, e spera di farla franca cosi’, puerilmente. Ma non so, non so proprio…
CARRARO: Io mi ricordo pero’ che tu mi hai detto che leggendo il libro avevi avuto l’impressione che se Raniero l’avesse trovata l’avrebbe fatta fuori.
RISI: SI perché se è vero che al male non c’è fine, forse però c’è un momento in cui a furia di sprofondare si sbuca dall’altra parte, per così dire, e si rivede la luce. Mentre leggevo il romanzo la prima volta ho pensato che se Raniero avesse trovato la ragazza, e l’avesse ammazzata, allora sarebbe tornato buono per fare il carabiniere, perché aumentando ancora la colpa si sarebbe sbarazzato dell’accusa. E ho avuto paura che il romanzo finisse proprio cosi’: ma almeno questo il romanzo ce lo risparmia, per fortuna.
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