Andrea Carraro è nato nel 1959 a Roma. Tra i suoi libri, ‘Il branco’, ‘La ragione del più forte’, ‘La lucertola’, ‘Non c’è più tempo’, ‘A denti stretti’ e ‘L’erba cattiva’. E’ inoltre autore di una raccolta di recensioni intitolata ‘Botte agli amici’.
– Vorrei cominciare da ‘Botte agli amici’, la sua raccolta di recensioni. La prima domanda, più che una domanda, è una curiosità: c’è qualche parentela con ‘Plausi e botte’ di Boine?
– ‘No, il libro di Boine non lo conosco. Il titolo l’ha inventato Raffaele Manica, in una delle prime riunioni di comitato della Alberto Gaffi editore, chissà, magari lui si era riferito al libro di Boine. Sì, è assai probabile. Glielo chiederò alla prossima riunione del comitato’.
– Ma cos’è ‘Botte agli amici’?!
– ‘Botte agli amici’ è una presuntuosa ricognizione della narrativa italiana degli ultimi tempi, secondo un gusto molto personale e, probabilmente, pochi strumenti di indagine e giudizio’.
– Nell’introduzione a quel libro, lei scrive: ‘Non sono un critico, ma sono un uomo a cui piace moltissimo giudicare’. Vorrei che illustrasse questo punto.
– ‘Si illustra da solo. Il giudizio – come sostiene Onofri nel suo bel libro ‘La ragione in contumacia’ – è un momento fondamentale dell’atto critico’.
– Cosa ha significato per lei essere uno scrittore e un recensore di scrittori?
– ‘Ha significato qualche volta imbarazzo’.
– Questa esperienza ha in qualche modo influito nella sua scrittura? Voglio dire: le capita, mentre scrive, di leggersi non solo come autore, ma anche come ipotetico recensore di se stesso?
– ‘Sì, altroché se mi capita. E con me alterno severità e benevolenza. Quando la benevolenza viene meno, c’è la crisi della pagina bianca che io ho conosciuto durante la mia depressione’.
– Qual è la sua sensazione di fronte alla pagina bianca?
– ‘Una sensazione agghiacciante’.
– Le piacciono le stroncature e detesta la retorica…
– ‘Mi piacciono quelle stroncature che sono ‘costruttive’ per l’autore e molto argomentate. Che lo invogliano a cambiare e gli suggeriscono anche una strada per farlo’.
– I critici che le piacciono quali sono?
– ‘Sono quelli disposti a cambiare idea e non si sottomettono a giochi di strategia editoriale. Ce ne sono molti: Angelo Guglielmi, Goffredo Fofi, e fra i giovani Filippo La Porta e Massimo Onofri e pochi altri’.
– Le va di dirmi quali sono, se ci sono, i libri che più hanno influito nella sua formazione?
– ‘Morte a credito’ di Celine, la ‘Recherce’ di Proust, ‘Lo straniero’ di Camus, i ‘racconti’ di Moupassant, di Hemingway e di Cechov, gli ‘Scritti corsari’ di Pasolini, ‘La metamorfosi’ di Kafka, Richard Yates e Primo Levi’.
– Esistono, o sono esistiti, degli scrittori che considera suoi maestri?
– ‘In qualche modo ho già risposto prima, proponendo il mio canone’.
– Cosa ama della narrativa italiana degli anni Novanta?
– ‘Io scommetto su Ammaniti e Veronesi, dei veri romanzieri. Non saggisti prestati al romanzo, ma narratori puri’.
– Cosa bisogna raccontare dopo il Novecento?
– E’ necessario raccontare di questioni morali, che sono immortali’.
– Non credo molto nelle definizioni, però credo nelle definizioni – se così posso chiamarle – che gli scrittori danno dei propri libri: gliene chiedo una, anche brevissima, per tre suoi libri che ho particolarmente amato: ‘A denti stretti’, ‘Il branco’ e ‘L’erba cattiva’.
– ”A denti stretti’ è ingenuo e immaturo, ma già nel pieno della mia poetica, ‘Il branco’ è un uragano che ho scritto in tre mesi, ‘L’erba cattiva’ è un libro gemello del branco’.
– In quali fasi si sviluppa il processo di scrittura di un suo libro?
– ‘Il Branco l’ho scritto in tre mesi, per Il sorcio sono passati cinque anni. Il processo dei miei libri non obbedisce a delle regole, è casuale’.
– Come riconosce che un’idea può essere volta in storia, in narrazione?
– ‘Dalla necessità che ho di scriverla’.
– Crede che lo scrittore abbia un ruolo sociale?
– ‘Ce lo dovrebbe avere, ma sovente non lo ha. Lo ha assunto ad esempio Saviano. Lo aveva, assai più corposamente, Pasolini’.
– Cosa significa raccontare e cosa significa, per lei, fare lo scrittore?
– ‘Fare lo scrittore significa per me raccontare storie. Un capitolo del mio libro ‘Botte agli amici’ si intitola: ‘Racconto, dunque sono’. A questa categoria di scrittori io mi sento fratello’.
– Come concilia l’amore per il giudizio con la narrazione? Estraneità, segreta vicinanza, questione di prospettive…
– ‘Sono due cose separate che rispondono a diverse espressioni della mia personalità’.
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